Il progetto Easy

In realtà si chiamava progetto ISI per Information System Italia. Sì, è proprio un progetto italiano che vi racconterò. Ma tu sei belga, mi direte. Sono anche italiano oggi, a dire il vero. Tutta la mia vita è stata segnata da questo paese.

Da bambino cantavo a squarciagola Funiculì funiculà, una canzone napoletana di cui mi ero infatuato. Da adolescente, le circostanze, mio fratello malato non poteva andare al Mare del Nord come tutti i piccoli belgi, passammo per anni le nostre vacanze sui laghi italiani. Sposato, il primo grande viaggio con la mia giovane moglie e la nostra bambina fu a destinazione di Venezia. Entrambi, meravigliati da una coppia di pensionati belgi e dai loro figli adulti che avevano raggiunto in motoscafo il ristorante dove anche noi pranzavamo, nell’isola di Torcello, decidemmo che alla fine della nostra carriera avremmo fatto lo stesso. 

L’informatica, oggi si tende a chiamarla I’Intelligenza artificiale, questo mostro macrocefalo che fa paura a tutti ma di cui tutti sembrano innamorarsi come Jessica Lange in King Kong, quando negli anni Sessanta diventai anch’io un pioniere di questa scienza quasi sconosciuta al grande pubblico, in generale al cinema si mostrava una sala enorme piena di lenti lampeggianti e una fila di armadi che contenevano nastri magnetici che si arrotolavano e si svolgevano a tutta velocità. Inizialmente mi occupai soprattutto di avviare un computer nuovo nelle imprese che non ne erano ancora dotate, praticamente creare un nuovo dipartimento nell’amministrazione, poiché l’obiettivo era soprattutto quello di automatizzare la fatturazione. Ho imparato molto in questa prima fase del mio lavoro perché si potrebbe paragonare ad un’inseminazione artificiale in un organismo che non era assolutamente preparato, il successo spesso era vicino all’aborto.

Il destino, anche in questo caso, mi portò verso un’azienda italiana, la Olivetti. Sento la sua domanda:«Quella delle macchine da scrivere?» Certo, stava aprendo una nuova filiale in Belgio e io ho partecipato all’installazione del suo computer. Qualche anno dopo, Olivetti che faceva anche macchine calcolatrici e macchine per fatturare, anche lei entrò come costruttore nell’avventura informatica che già conosceva un’accelerazione pericolosamente irresistibile che ci porterà a ciò che conosciamo oggi. Olivetti che si dice abbia inventato anche il primo piccolo calcolatore che si potrebbe chiamare PC, personal computer. Naturalmente cercava di assumere personale specializzato con esperienza. Ero uno di loro e non ho esitato. Due meravigliosi trimestri a Firenze, villa Natalia a Fiesole, imparai senza problemi la lingua di Dante Alighieri. 

Non ci crederete, ma quando de Benedetti, il finanziere italiano che aveva guidato l’Olivetti nella battaglia per conquistare il mercato mondiale dei PC, un mercato promettente ma altrettanto inaffidabile come don Juan Tenorio, ha offerto praline torinesi al presidente della Società Generale belga, è dove il mio destino si è ribaltato e mi ha fatto prendere la strada che finalmente mi avrebbe portato in Italia.

Il dottore B., direttore della filiale belga della Olivetti, mi chiamò nel suo ufficio. «Fonder, ho una missione da affidarle» mi disse solennemente. Avevo infatti perso il lavoro, rappresentavo la ditta italiana in una società congiunta con la Generale che avevamo fondato per vendere Filenet, un prodotto specializzato nella digitalizzazione di massa su disco magnetico di grandi archivi di documenti come le banche per esempio ne possedevano. Il malevolo gesto di Benedetti aveva evidentemente troncato tale accordo.

L’idea di B. era semplice, un po’ meno da realizzare. Come direttore, riceveva ogni settimana tonnellate di carta che i computer dell’epoca stampavano per fornirgli le statistiche e i dati che avrebbero dovuto essere utilizzati per la gestione dell’azienda. Per fornirgli informazioni grafiche e semplici da consultare e interpretare, due segretari inserivano i dati ricevuti su carta nel famoso M24 che la Olivetti vendeva in concorrenza con il famoso PC della IBM appena nato.

Eravamo negli anni ’80, una vera rivoluzione questo PC, la sua nascita con, poco dopo, l’arrivo di internet e la digitalizzazione, ha cambiato il mondo, nel bene o nel male, è molto difficile dirlo, in ogni caso ci ha fatto progredire in tutte le tecnologie. La differenza dell’M24, che ha reso il suo successo mondiale innegabile, era bello, era italiano e pericoloso perché piaceva. B. ne voleva uno sulla sua scrivania e poiché sapeva molto bene come gestirlo, voleva che fosse utile e facile da usare: Easy. Ciò che più tardi quando feci il progetto in Italia mi diede l’idea del nome, ma non anticipiamo non siamo ancora arrivati a questo punto.

Il nostro capo sul suo bellissimo oggetto, non solo voleva accedere alle informazioni prodotte ogni settimana dal computer, ma voleva poter accedervi giornalmente, introdurre indicazioni, comunicare con i suoi collaboratori e con i suoi più importanti clienti. In una parola come in cento, voleva che l’informatica gli servisse a dirigere la sua attività e non solo a fare fatture. E naturalmente questo ragionamento si applicava anche a tutte le entità della sua organizzazione.

Una bella sfida, vero? Beh, l’abbiamo fatto io e il mio team in tutto il Belgio, un paese che non è molto grande, ma come è noto è piuttosto complesso con le sue due culture, la sua posizione centrale al centro dell’Europa, e la sua attività molto intensa. In tutti i reparti commerciali o tecnici, c’era già un bel po’ di M24 installato e sugli uffici stavano disputando il posto al terminale IBM collegato in rete 3270 con il computer centrale. Il problema è che si chiamano personal computer, ognuno li installa come vuole e sceglie i programmi che desidera, o addirittura realizza una vera e propria piccola applicazione. 

Era quindi evidente che tutti dovevano avere la stessa installazione, lo stesso modello, gli stessi programmi nella loro ultima versione. Abbiamo quindi definito uno strumento di lavoro unico, che si moltiplicava come faceva Gesù con i pani e poi si aggiornava automaticamente attraverso una rete ethernet privata quello che sarebbe stato poi utilizzato via internet. Abbiamo anche installato un piccolo server locale per consentire la condivisione di informazioni in un edificio che era gestito da una persona che era parte del nostro gruppo (LSA Local System Administrator). Avevamo anche una scuola con personale didattico in grado di aiutare gli utenti in collaborazione con LSA. Abbiamo finalmente realizzato la sostituzione del terminale IBM emulandolo sul nostro M24 e abbiamo trasformato anche le statistiche su carta in meravigliose tabelle e grafici excel. Ovviamente organizzammo anche la posta elettronica, i messaggi veloci, incorporando anche piccole applicazioni locali quando era possibile.

B. era soddisfatto quando fu promosso e divenne direttore della filiale italiana più importante del gruppo. Due anni dopo, all’inizio del 1991, mi invitò ad Ivrea, la piccola città piemontese è da sempre la città Olivetti, qui nacque l’inventore della macchina da scrivere e suo figlio Adriano sviluppò un nuovo modello di business in cui profitto e solidarietà sociale erano in equilibrio. La società che de Benedetti aveva portato con successo nel settore informatico, lanciava una nuova famiglia di prodotti che si chiamava LINEA UNO, piccolo server per le agenzie di banche, ministeri e piccole imprese. Come sempre la nostra società annunciava le sue novità a grandi spese e con eventi impressionanti, questa volta aveva affittato il casinò monegasco e alcuni alberghi adiacenti nel principato. Mi fu chiesto di installare la sala stampa e di dimostrare i servizi che offrivamo ai nostri utenti affinché anche i giornalisti potessero inviare via e-mail i loro articoli ai loro giornali.

Accettai con entusiasmo, eravamo quasi in Italia, a Montecarlo tutti parlano anche italiano, ce n’erano così tanti, tutta la squadra di Ivrea era italiana, il mio obiettivo si avvicinò senza dubbio. Ma anche se metto l’Italia e gli italiani su un piedistallo, hanno il difetto o la qualità dei grandi artisti, l’organizzazione e loro, questo fa due. Decisi di trasportare i miei computer e server completamente configurati, affittai un camion enorme e scelsi i miei migliori collaboratori, uomini e macchine si trasferirono a Montecarlo in un piccolo angolo del Belgio. È stato un successo incredibile, di Benedetti ha visitato la nostra sala stampa, si è seduto davanti a una stazione e gli ho fatto la dimostrazione. Il giorno dopo la stampa mondiale era inondata di articoli che parlavano del miracolo italiano, l’informatica di domani con un design degno della Lamborghini.

Il giorno dopo firmai un contratto per trasferire me e mia moglie in Italia e realizzare il progetto ISI questa volta. Ho preso l’aereo a settembre con una piccola valigia fortunatamente non in cartone, mia moglie, che continuava il suo lavoro, naturalmente, rimase a Bruxelles per preparare il trasloco, organizzare tutto, e aspettare almeno un anno per vedere come sarebbe andato prima di prendere un congedo non retribuito. L’Italia era un po’ più grande del Belgio, sarò in grado di adattarmi, mi farò accettare in un’organizzazione così diversa, una cultura che ammiravo, ma mi si prometteva che l’Italia reale era diversa da quella di Stendhal o di Jean d’Ormesson.

Alloggiai nella residenza dei Cavalieri vicino alla sede della filiale milanese, via Meravigli, sembrava un nome predestinato, ma la verità era che in quel momento non sapevo cosa mi aspettava, da dove cominciare? Nessuno dei miei collaboratori belgi aveva voluto seguirmi. Avevo un appuntamento con il direttore amministrativo e l’attuale responsabile IT. Curioso, quando B. aveva annunciato loro la sua decisione, avevano organizzato un viaggio a Bruxelles per venire a capire di cosa si trattava e con chi avrebbero avuto a che fare. Devo dire che la collaborazione è stata eccellente, il responsabile IT si è ritirato qualche mese dopo, Ma conosceva molte persone e in particolare mi aiutò a trovare la squadra che mi avrebbe circondato per tutti i suoi anni e che ovviamente sono diventati anche miei amici.

Gli altri erano piuttosto contrari, chi era quel belga che doveva riuscire ciò che avevano tentato invano di realizzare?

Il mio rapporto con B era quasi diretto, il che mi ha aiutato a superare alcune resistenze a volte estreme. Dovetti invece incontrare società di consulenza importanti come Accenture e anche quella di Casaleggio, il futuro inventore di Rousseau, altre meno importanti mi fornirono personale altamente qualificato che si integrò perfettamente nel progetto. Nel labirinto inestricabile dell’organizzazione Olivetti trovai anche giovani che in seguito avrebbero fatto una carriera esemplare. La squadra formata, abbiamo realizzato un pilota il cui innegabile successo libera il progetto che ha preso rapidamente una velocità di crociera. Un collega mi aveva offerto il suo appartamento in affitto arredato, potei far venire mia moglie, il trasloco fu così molto leggero e come due innamorati cinquantenni, trapiantati in questa meraviglia che è l’Italia, potevamo reinventare la nostra vita.

Ho viaggiato molto, naturalmente, non è un angolo di questo paese, lo ripeto e firmo, il più bello del mondo, che non visitammo. Scoprimmo la vera Italia, splendida, varia, ricca e povera allo stesso tempo, decrepita e rovinata ma ancora più bella così, diversa soprattutto, romana e milanese o meglio ancora Palermo e Bolzano sono agli antipodi. La cultura, il vocabolario, l’accento, e soprattutto la cucina sono completamente diverse, ma ciò che lo rende unito è il senso del bello, dell’eleganza, dell’arte, come non lo incontrerò mai.

La cucina abbiamo imparato a conoscerla, a praticarla e non ci siamo limitati ad una regione, sarebbe stato un peccato, le migliori sono sicuramente la napoletana e, molto meno conosciuta, ma con un tocco arabo, la siciliana, vi accoglieremo sia con la pasta con le sarde che con il risotto alla Milanese e come antipasto la focaccia di Recco o il Vitello tonnato. La cosa più straordinaria per me è la semplicità dei piatti, la bontà degli ingredienti a volte quelli i più poveri soprattutto nel sud che non conoscevamo affatto, dove i piatti hanno come equivalenti solo l’estrema bellezza della natura in contrasto con la povertà di un popolo che, d’altra parte, ha saputo conquistare il mondo.

Tutte le filiali furono installate in pochi anni, il risultato era dimostrabile. Il progetto meritava davvero il suo nome «Easy» facile, nonostante la reale difficoltà che ci fu cambiamento nelle abitudini, nelle procedure, nell’individualismo regna in questo paese. 

E ciò che doveva accadere, i nostri commerciali non smettevano di vantarsene, sempre più spesso dovevamo presentarlo, dimostrarlo il valore dell’investimento e la nostra struttura, il nostro progetto si trasformò in una divisione di vendita. Il primo cliente fu la Pirelli, ma questa è un’altra storia, una storia italiana.

Jean Claude Fonder